Editoriale
Analisi sul fenomeno Arabia Saudita-calcio
A cura di Stefano Boldrini
Era destino che il calcio, lo sport più popolare del pianeta, dovesse esplodere in Arabia Saudita: l’abbondanza di petrolio – è il maggior esportatore mondiale -, le dimensioni del paese – 2.150.000 mq circa, sette volte l’Italia -, le crescite di PIL nominale e PIL procapite dal 2017 a oggi, la riapertura al turismo nel 2019 e la necessità di diversificare l’economia hanno spinto la monarchia reale a perlustrare nuove strade per prepararsi al futuro. Il progetto ha un nome: Saudi Vision 2030. Sono due le vie principali da percorrere secondo le autorità saudite per dare slancio a infrastrutture, istruzione, turismo e attività ricreative: la prima è commerciale – Riyad è la principale concorrente di Roma per l’Expo universale del 2030 -, l’altra è il calcio.
Congelato per ora il progetto di candidarsi all’organizzazione del mondiale 2030 con Grecia e Egitto, l’Arabia ha puntato forte sul suo campionato. Il 2-1 sui futuri campioni dell’Argentina a Qatar 2022 è stato una molla formidabile. I “figli del deserto” hanno poi perso con Polonia e Messico, salutando il torneo iridato nella fase eliminatoria, ma il successo sui Messi boys è stato una sbornia collettiva, proprio nei giorni del trasferimento di Cristiano Ronaldo all’Al-Nassr.
Il fuoriclasse portoghese, ricoperto di denaro dal club di Riyad con un contratto da 400 mln di euro in due anni, è stato un pioniere. CR7 ha aperto la via e la Saudi League ha dominato la scena del calciomercato negli ultimi due mesi con l’approdo di star internazionali, arruolate grazie a stipendi faraonici e accolte in modo persino stravagante, vedi la presentazione del brasiliano Fabinho, fotografato con una tigre.
Le autorità del paese, attraverso il Fondo sovrano saudita – il Public Investment Found ha un portafoglio da 620 miliardi di dollari -, hanno acquistato il 75% dei quattro principali club della Saudi League (Al-Ahli, Al-Nassr, Al-Hilal e Al-Ittihad) ed ecco la calata di grandi firme straniere, qualcuna a fine carriera, altre ancora Under 30. Nell’ordine: Mendy, Firmino, Mahrez, Telles, Saint-Maximin e Ibanez (Al-Ahli); Milinkovic-Savic, Koulibaly, Neves e Malcom (Al-Hilal); Brozovic, Seko Fofana, Telles e Mané (Al-Nassr); Benzema, Kanté, Jota e Fabinho (Al Ittihad); Henderson e M. Dembélé (Al-Ettifaq). Una campagna acquisti pirotecnica da 1,2 miliardi di euro finora, che potrebbe riservare altri colpi importanti – il mercato resterà aperto fino al 20 settembre -, ha aumentato il valore complessivo del campionato saudita – la stima attuale è di 743,7 mln di euro, l’ex laziale Milinkovic-Savic con 50 mln il calciatore più pregiato -, ha fatto decollare il numero degli stranieri – 133 quando scriviamo – e sposterà l’interesse delle televisioni mondiali, torta gigantesca e fonte di guadagni stratosferici. Il match di esordio della Saudi League 2023-2024, l’anticipo Al Ahli-Al Hazem, sarà, venerdì 11 agosto, il primo banco di prova.
Il torneo ripartirà nel segno dei campioni dell’Al Hittihad, della voglia di imporsi dell’Al-Ahli – con 18 titoli il club più decorato -, delle ambizioni di Al-Nassr e Al-Hilal. Diciotto squadre al via ed enorme interesse all’interno del paese, certificato dai dati dell’ultima stagione: 2.080.302 spettatori in totale, ben 400 mila in più rispetto all’annata record 2014-2015. Di discreto livello la platea degli allenatori: il portoghese Jesus (Al-Hilal), l’altro portoghese Espirito Santo (Al Hittihad), l’olandese Keizer (Al-Shabab), l’inglese Steven Gerrard (Al-Ettifaq).
In Italia sarà LA 7 a trasmettere le partite: la Cairo Communication ha acquisito i diritti per due stagioni e ogni settimana sarà proposta la gara più importante. I dirigenti arabi hanno affidato a inizio 2023 alla società di marketing IMG il compito di perlustrare il mercato internazionale: l’obiettivo è raggiungere accordi importanti e di fare concorrenza alla Premier.
L’opinione comune è che il boom saudita non farà la fine della breve esperienza cinese. L’impalcatura finanziaria è più solida e l’Arabia è un paese meno periferico, anche a livello di fuso orario, quindi più agevole nella trasmissione delle partite, almeno in Europa. I sauditi sono abili nella gestione del denaro: diversi componenti dei vertici hanno studiato economia nelle Università statunitensi.
Il problema, semmai, sono altri aspetti di una nazione nel quale, per citare un esempio, solo nel 2018 è stato concesso alle donne di guidare l’auto. In Arabia Saudita, indipendente dal 1932, la religione ufficiale è l’Islam sunnita, nella severa versione giuridico-teologica del wahhabismo neo-hanbalita. In Arabia non esiste una costituzione: il fondamento delle regole è basato sulla Sharia, la legge islamica. Gli aspetti più oscuri del paese sono la questione femminile – alle donne sono negate numerose libertà fondamentali – e la violazione dei diritti umani: l’Arabia Saudita occupa gli ultimi posti della classifica mondiale. La pena di morte, mediante decapitazione con la spada o impiccagione, è applicata con estremo rigore. L’omosessualità non è tollerata: è considerata un reato, punibile con la pena di morte. La monarchia è autoritaria: il sovrano ha poteri assoluti. L’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, trucidato nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018, chiama in causa il principe ereditario Mohammed bin Salman, indicato come mandante dell’eccidio da un report della CIA.
Dietro al pallone che rotola, al pozzo senza fine di denaro e alla pioggia di stelle nel deserto, c’è anche tutto questo: è doveroso ricordarlo e, soprattutto, non dimenticarlo.